Non perdiamoci i ragazzi più difficili

“Se si perdono i ragazzi più difficili la scuola non è più scuola. E’ un ospedale che cura i sani e respinge i malati”. 
(Don Lorenzo Milani “Lettera a una professoressa”)

Daniel Pennac, scrittore e insegnante, nel suo magnifico libro, Diario di scuola, affronta il fenomeno delle bande giovanili che si sviluppano nelle periferie delle grandi città francesi. Nella sua analisi elenca diverse cause, tra cui l’importanza della disoccupazione, dell’emarginazione, dei raggruppamenti etnici e molto altro, ma rivolgendosi agli insegnanti dice:”…ma guardiamoci bene dal sottovalutare l’unica cosa su cui possiamo agire personalmente e che risale alla notte dei tempi pedagogici: la solitudine e il senso di vergogna del ragazzo che non capisce, perso in un mondo che gli altri capiscono. Solo noi possiamo tirarlo fuori da quella prigione, formati o meno per farlo”.

Trovo in queste parole il senso dell’insegnamento: comprendere il mondo cui un ragazzo appartiene, comprendere come si sente, riconoscere il suo malessere, saper tendere una mano con la consapevolezza che per molti ragazzi, la scuola, potrebbe essere la sola opportunità di riscatto. Così è stato per Daniel Pennac che, parlando dei suoi insegnanti dice:

“Gli insegnanti che mi hanno formato – e che hanno fatto di me un insegnante- non erano formati per questo. Non si sono preoccupati delle origini della mia infermità scolastica. Non hanno perso tempo a ricercarne le cause né tanto meno a farmi la predica. Erano adulti di fronte a adolescenti in pericolo. Hanno capito che occorreva agire tempestivamente. Si sono buttati. Non ce l’hanno fatta, si sono buttati di nuovo, giorno dopo giorno, ancora e ancora…Alla fine mi hanno tirato fuori. E molti altri come me. Ci hanno letteralmente ripescati. Dobbiamo loro la vita”.

E’ tutto così semplice e a volte così difficile.

Dimentichiamoci per un attimo lo studente e guardiamo la persona con il suo mondo, proviamo a entrare in contatto con la sua realtà, facciamo sentire tutto il nostro amore, crediamo in quel ragazzo anche quando lui stesso non crede in sé, troviamo in ogni momento una cosa positiva su cui costruire la relazione e la conoscenza. Alla fine, probabilmente, ci seguirà. Se invece la nostra preoccupazione è valutare e misurare, registrare quanto le sue prestazioni si avvicinano (o allontanano) dallo uno standard che per qualche motivo è diventato criterio di normalità, allora è facile che ce lo perdiamo.

Don Milani così parla della sua esperienza d’ insegnante:

“Caro Michele, caro Francuccio, cari ragazzi, ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto al suo punto”.

Non riesco a pensare un modo migliore di essere insegnante.

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