Il potere dei bambini: cambiare il mondo giocando

“Cosa fai? Stai giocando?”  “No, sto cambiando il mondo”  (Andrea 7 anni)
storie

Andrea ha sette anni. Da quando è nato il fratellino, sei mesi fa, la mamma dice di non riconoscerlo più. Non è più quel bimbo solare e allegro, sempre pronto a scherzare, ma è spesso silenzioso, non parla e passa molto tempo da solo in camera sua. I genitori sono preoccupati perché temono che l’arrivo di Paolo lo stia mettendo in difficoltà. Paolo è nato sei mesi fa, al settimo mese di gravidanza, e questo ha determinato un ricovero nel reparto di neonatologia per alcune settimane. La mamma è stata a lungo in ospedale. Anche se non era ricoverata, faceva avanti e indietro più volte al giorno. Genitori e familiari hanno passato alcune settimane di grande preoccupazione. Nel giro di un paio di mesi comunque l’emergenza è rientrata, tutti si sono rilassati e hanno finalmente iniziato a vivere la gioia dell’arrivo. Andrea era molto contento di questo fratellino, ma gli eventi inattesi, la preoccupazione degli adulti, l’attenzione costante su Paolo, lo hanno disorientato, e non ha più capito cosa stava accadendo. Come spesso accade a un bambino così piccolo, non ha saputo esprimere il suo malessere, e, da solo, è arrivato alle sue conclusioni.

Quando ho conosciuto Andrea, l’ho trovato subito molto simpatico, un bambino sensibile e attento, ma un po’ triste. Nella stanza dei giochi ha scelto di giocare con i pupazzetti e l’arredo dei diversi luoghi della casa: cucina bagno, salotto, stanze da letto. E così è nata la nostra famiglia immaginaria: mamma, papà, Tom, il maggiore e Sam, il fratellino. Abbiamo messo in scena tante situazioni, ma tutte avevano la stessa conclusione, come nell’immagine: Tom si allontana dalla famiglia e va a fare altro. Potrebbe sembrare un comportamento di autonomia, ma l’ostinazione con cui Andrea ripropone la stessa situazione, in contesti diversi, ci rivela che sta mettendo in scena, attraverso Tom, il suo tentativo di cancellare il dispiacere nel vedere tutte le attenzioni sul piccolino della famiglia. Andrea si sta così costruendo una delle sue prime convinzioni: “mamma e papà preferiscono mio fratello e io devo cavarmela da solo”. Poco importa se i genitori non hanno mai lontanamente pensato qualcosa del genere, Andrea ha deciso così, i dati in suo possesso e la sua capacità di ragionamento lo partano a queste conclusioni.

Il terapeuta, a questo punto, può entrare nel gioco in nodo più attivo e propositivo, provando a modificare le situazioni. E’ di Tom che si occuperà e a Tom, con l’aiuto di Andrea proverà ad insegnare a dare ascolto alle sue emozioni e a scoprire comportamenti nuovi.

Così, un giorno, nel gioco, viene a fare visita alla famiglia la vicina di casa, Elisa, un tipo allegro e pieno di energie, che, dopo aver salutato tutta la famiglia, fa capire a Tom che si annoia un po’ con quel neonato e così, complice, non vede l’ora di andare a giocare con Tom nella sua cameretta. I due se ne vanno e si divertono un mondo, terapeuta e bambino si alternano nell’animare i personaggi, e, nel gioco della terapia, il terapeuta fa emergere i sentimenti e i pensieri di Tom/Andrea. E’ Andrea che mette in bocca a Elisa la considerazione che i neonati non sono poi così divertenti e che deve essere noioso per mamma e papà stare sempre con lui. E’ la terapeuta che dando voce a Tom, suggerisce che forse bisogna aiutare i genitori a staccarsi un po’ da Sam, è Andrea che fa venire in mente a Tom la soluzione: “Senti Elisa, se tu stai un po’ con mio fratello, mamma è papà possono venire a giocare con me, e finalmente si rilassano un po’!”

Che trovata geniale! Subito si mette in scena la storia e in un attimo, mamma e papà sono nella cameretta di Tom mentre Elisa si occupa del piccolino.

Non è semplicemente un gioco, Ma una ristrutturazione cognitiva. Infatti sono successe cose importanti:

Andrea ha espresso la sua rabbia per la presenza del fratellino, anche se in modo un po’ svalutante: Sam è noioso.

Andrea ha intuito che i genitori forse devono occuparsi di Sam/Paolo, ma vorrebbero fare anche altro. Tom/Andrea può chiedere a mamma e papà di giocare con lui

Qualcun altro potrebbe occuparsi di Sam/Paolo

Improvvisamente Andrea ha scoperto che la situazione può essere vista da diversi punti di vista e che, probabilmente, anche i suoi genitori vogliono giocare con lui. Ma la condizione davvero sorprendente è che i bambini, quando fanno una scoperta giocando, con estrema spontaneità la utilizzano nella vita di tutti i giorni.

Ci abbiamo lavorato ancora per qualche seduta, il tempo di consolidare le nuove convinzioni, far vedere alla mamma il nostro gioco e coinvolgerla facendole animare i pupazzetti. Nel giro di poche settimane, Andrea è tornato ad essere il bambino di sempre. Inoltre, sentendosi di nuovo amato e apprezzato, ha potuto avvicinarsi con naturalezza e curiosità al fratellino, scoprendo che è anche divertente.

Da quel momento, il gioco ha assunto per Andrea un significato particolare. Quando mi chiedeva di giocare con i pupazzetti, era chiaro che c’era qualche questione da affrontare e che nel gioco sapeva avremmo  trovavano le soluzioni.

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