Perché ho paura delle mie emozioni?

Non sento emozioni, tutta la mia vita mi scorre davanti agli occhi come un film e io non sono il protagonista. Eppure in passato ero triste, felice, spaventato e arrabbiato. Ora provo qualcosa solo se qualcuno mi colpisce. (Michele 38 anni)
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Le emozioni ci fanno sentire vivi. Sono i colori della nostra vita, ci guidano verso la realizzazione dei nostri desideri, ci aiutano a fuggire dai pericoli, alimentano la nostra passione e la nostra creatività.

Il meccanismo è straordinariamente semplice: cerco quello che mi fa stare bene, evito tutto ciò che produce dolore. Le emozioni mi aiutano a capire se sto andando nella direzione giusta.

Questo meccanismo funziona alla perfezione solo se il bambino, sin dalla nascita, sperimenta un amore incondizionato. Come ci ha insegnato John Bowlby, autore della teoria dell’attaccamento, ogni bambino viene al mondo biologicamente programmato a costruire un legame con gli altri perché di loro ha bisogno per sopravvivere.  Appena nato, infatti, produce segnali come il pianto e il sorriso, potentissimi nell’attivare le cure degli adulti. Il primo istinto dell’adulto, infatti, è quello di prendere in braccio il bambino, fornendo così quel contatto fisico che fa sentire il piccolo protetto sicuro.

Giorno dopo giorno, il bambino sperimenterà un ambiente stabile e coerente, capace di riconoscere i suoi bisogni e pronto nel soddisfarli. Questa condizione, che Bowlby definisce attaccamento sicuro, se garantita nei primi anni di vita, farà sentire il bambino importante e gli permetterà di sviluppare una fiducia straordinaria nelle proprie possibilità e nel mondo. Si sentirà forte e coraggioso, pronto ad affrontare le avversità della vita con la certezza di potercela fare.

Allora, per questo bambino, il mondo delle sue emozioni sarà il motore e la bussola che lo guiderà nella navigazione della vita.

Ma cosa accade a quel bambino che non sperimenta un attaccamento sicuro? Probabilmente comincerà a sentire che non è poi così importante per gli altri, che i suoi desideri sono sbagliati e che magari non piace agli adulti. Poco alla volta sentirà il mondo come un luogo pericoloso e gli altri come potenziali minacce. Intorno ai sette, otto  anni di vita il bambino organizzerà tutto questo in convinzioni. Pensieri su di sé, il mondo e gli altri che poco alla volta diventano certezze indiscutibili e orienteranno le scelte successive.

Il bambino che non  sperimenta un attaccamento sicuro facilmente inizierà a credere che nessuno riesce a capirlo veramente, che prima o poi gli altri lo lasceranno o lo tradiranno, che vale meno degli altri e non è capace come gli altri.

Non è difficile immaginare che questo bambino svilupperà un mondo interiore pieno di paure e fantasmi, da cui cercherà, in ogni modo di allontanarsi. Ed ecco perché il nostro Michele, non entra in sintonia col proprio mondo interiore, perché lo fa soffrire e lo spaventa. Meglio allora non sentire.

 

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La psicoterapia in questi casi può aiutare la persona a rivedere alcune delle sue convinzioni, a metterle alla prova e scoprire che non sono poi così vere. Ma gli sviluppi più recenti della psicoterapia offrono un altro ambito di intervento: la possibilità  per il cliente di sperimentare con il proprio terapeuta una relazione sana, di accettazione incondizionata e di fiducia. Egli potrà così finalmente avere quello che di cui è stato privato da bambino: un legame sano e protettivo che lo aiuterà a sviluppare pensieri positivi su di sé e sul mondo.

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